Il territorio
del Distretto Musiné
Il Territorio del Distretto Diffuso del Commercio Monte Musinè comprende i Comuni di Almese, Caselette e Villar Dora in Valle di Susa.
Il paesaggio è costituito da due ambienti principali quali il sistema del fondovalle della Dora Riparia e i versanti montani.
Il simbolo del Distretto è il Monte Musinè, sito di interesse comunitario, meta escursionistica e protagonista di miti e leggende.
Il Nostro Distretto è una macchina complessa che ha bisogno di cura per far si` che il nostro territorio sia sempre più vivo e pronto alle sfide che verranno.
A ciascuno di noi compete la responsabilità della cura e dell’attenzione verso il proprio territorio.
“Uscite e ammirate i vostri paesaggi,
prendetevi le albe, non solo il far tardi.
Vivere è un mestiere difficile a tutte le età,
ma voi siete in un punto del mondo
in cui il dolore più facilmente si fa arte,
e allora suonate, cantate, scrivete, fotografate.”
Franco Arminio
Almese
Non è sicura la provenienza del nome Almese: per alcuni storici deriva da “ad Maesam”, che significa ‘accanto al torrente Messa’, secondo altri deriva dal gallo-romano “Almo”. Etimologia questa che sarebbe coerente con i ritrovamenti nella zona di Malatrait e nella villa romana di Rivera, che datano la presenza di abitanti alla tarda età del ferro con insediamenti che si sarebbero notevolmente espansi nel periodo romano. Quel che è certo è che la zona di Almese fu un punto di passaggio: lo testimoniano le antiche dogane per il pagamento di dazi e pedaggi, ritrovate a Malano, vicino a Drubiaglio.
La testimonianza più antica dell’esistenza di Almese risale al 1001: in quell’anno Ottone III concede a Olderico Manfredi, figlio di Mongifredo e nipote di Arduino il Glabro, il titolo di marchese della contea di Torino e il relativo elenco dei beni comprende ‘…tertiam partem… Almisii’. Successivamente, nel 1029, Olderico Manfredi dona al Monastero Benedettino di San Giusto di Susa un terzo della valle di Susa, comprendente ‘quelle parti che vengono chiamate Almese e Rubiana’. I benedettini fondano poi proprio ad Almese una prepositura intitolata a ‘San Mauro di Almese’: da quel momento la storia del paese coincide con quella di San Mauro, borgo agricolo soggetto a infeudamenti successivi.
Nel 1300 tutti i centri abitati affrontano l’esigenza di difendersi: anche l’abbazia almesina si trasforma in castello, fortificato come tutte le aziende agricole. La realtà dell’epoca, rispetto a norme, costumi, abitudini è testimoniata negli ‘statuti rurali’, documento pubblicato tra il 1311 ed il 1314 dalla Signoria di San Giusto. A quei tempi tra l’altro inizia la caccia alle streghe, che secondo credenze popolari organizzano sabba lungo le sponde del torrente Messa. E il castello di San Mauro viene utilizzato come prigione per le colpevoli in attesa di esecuzione.
Verso il 1400 Almese si trova a fronteggiare un’emergenza ambientale: le inondazioni del torrente Messa, ingrossato dai residui di lavaggio dell’ematite, estratta dalle locali miniere di ferro. Ci vorranno secoli per risolvere in modo stabile il problema, con il rimboschimento del vallone del Messa agli inizi del ‘900.
Nel corso del 1600 il conflitto contro la Francia ha conseguenze negative anche per Almese, in particolare nel 1690, quando il Catinat conquista Susa ed Avigliana, e Almese e Rubiana vengono saccheggiate e patiscono una ventina di morti e la distruzione di case e colture.
Con l’emanazione delle ‘leggi sui Pubblici’ nel 1700 l’amministrazione comunale viene riorganizzata, mentre nel 1769 il convento di San Giusto viene sciolto e i territori almesini rientrano nel Reale Patrimonio. A fine secolo, inoltre, si instaura un governo provvisorio, conseguenza della rivoluzione francese, con un gruppo di giacobini capeggiati dal segretario comunale, Gandolfi.
Nel giugno 1800 tutta la regione viene annessa alla Francia, poi, con la caduta di Napoleone, Almese diviene Comune capo di mandamento della Provincia di Susa, insieme ai Comuni aggregati di Villar-Almese (oggi Villardora), Rivera e Rubiana: è quindi sede di circoscrizione giudiziaria e di pretura. Frattanto nel 1845 viene ampliata la piazza Martiri, costruito il nuovo municipio, si risolve la diatriba con Avigliana rispetto alla sede del mercato.
Almese rimarrà borgo agricolo fino a quando il collegamento ferroviario nel 1854 renderà possibile l’impianto di alcune industrie: si costruiscono allora le scuole elementari e, nel luogo attualmente occupato dal municipio, sorge il primo mercato coperto di tutta la valle. Con il 1900 trova finalmente soluzione la secolare vicenda dei pascoli sul Musiné, tra Rivera e Milanere, mentre dal 1955 i comuni di Almese e Villardora sono separati.
Caselette
CASELETTE a 404 m. di altezza, è un ridente paese scaglionato sul pendio del Monte Musiné (m. 1150) a dominio di una splendida conca di prati irrigui e di colline boscose, sullo sfondo delle Alpi Graie e Cozie.
Notevoli, per l’importanza e la posizione dominante in vista della pianura torinese, i due castelli millenari.Il primo, che sovrasta il vecchio borgo – già dei Conti Cays di Giletta e Caselette – ora sede di un “Centro Salesiano di Spiritualità”. Il secondo, in località Camerletto, le cui vicende si attestano all’età alto medievale (prima del X sec.).
Di nota i due laghi: Superiore (quasi interrato) e Inferiore, pescoso e in parte ricoperto da giunchi e ninfee; i massi erratici e gli spuntoni rocciosi che costeggiano il territorio e le pendici della montagna, costituiscono una interessante attrattiva per gli studiosi della geologia alpina. Infine il Monte Musiné (m.1150) con le sue leggende, i suoi monumenti situati sulla sommità (Croce monumentale), lungo i suoi fianchi a m. 539 (Santuario di Sant’Abaco) e la zona archeologica della Villa Romana _ (I-II d.C.r), richiamano dalla vicina città e dalla sua cintura, soprattutto nelle tiepide giornate d’inverno, frotte di visitatori.
L’amenità del paesaggio, il clima salubre e mite, le comode strade di accesso oltre alla varietà di escursioni e di passeggiate, degli impianti sportivi, del tempo libero e dell’accoglienza, fanno di Caselette un luogo ideale per un soggiorno, un’escursione o anche per una riposante villeggiatura.
A chi vi giunge da Torino (per Alpignano, statale 24) o dalla Valle di Susa, Caselette appare col suo centro storico raccolto su un rialzo morenico ai piedi del Musiné, disteso in posizione soleggiata tra la campagna alluvionale sulla sinistra della Dora Riparia e il boscoso versante sud-est montagna.
Nel Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale (1837) Goffredo Casalis così descrive il comune:
“CASELETTE (Caselettæ, Casellæ ad Duriam ripariam), com. nel mand. di Pianezza, prov. dioc. div. di Torino. Dipende dal senato di Piem., intend. gen. prefett. ipot. di Torino, insin. e posta di Rivoli. Sorge alla manca sponda della Dora riparia, sulla parte meridionale di un aprico rialto, il quale distaccasi dall’orientale estremità dell’alpe arsa Mussuniana, detta Musinè. E’ discosto sette miglia circa, a ponente, da Torino.
Su quel rialto, che domina il villaggio, s’innalza un ampio castello, che di presente appartiene al conte Cays di Giletta. Una torre ed alcuni muri di straordinaria dimensione, che nel riedificarsi di quella rocca vennero conservati, appalesano che negli antichi tempi Caselette fu sito militare di non poco momento. Alla distanza di mezzo miglio e ad ostro dall’abitato passa la Dora, le cui acque vi servono ad inaffiare i beni che si trovano al piano.
Il territorio è ricco di vigneti, che forniscono in copia vini spiritosi: è assai ferace di fromento, granturco e segale: abbonda eziandio di boschi atti a provvedere molto legname da costruzione e soprattutto da bruciare. Le sue strade sono comunali: una, da levante, conduce a Torino; un’altra, da mezzodì, scorge al luogo di Almese; una terza, da tramontana, mette a Brione, accennando alla valle che dicesi della Torre. Torna per altro a grave danno degli abitanti, che le accennate vie si trovino in cattivo stato; perocché sono eglino costretti a fare il trasporto dei loro prodotti con sì gravi dispendi da esserne malamente compensate le loro continue fatiche.
Sul finire dell’autunnale stagione non vi manca il selvaggiume, e sul ridetto monte i cacciatori fanno buone prede di augelli ricercati, e particolarmente di pernici. Nell’estensione del territorio giacciono due laghi: sono vicini all’abitato: abbondano di saporose tinche e di altri pesci d’inferior qualità.
La parrocchiale è sotto l’invocazione di s. Giorgio. Il parroco vi ha il titolo di prevosto. I terrazzani sono robusti, affaticanti ed industriosi. Trovasi in questo territorio:
Silice resinite, d’un bianco sucido, a frattura concoide e lucente: della montagna detta il Musinè.
Sìlice idrofana, del colore e frattura simili alla precedente: trovasi mista ad essa a’ piedi del Musinè.
Eufotide col diallaggio verde scuro, galleggiante, e la giada bigia (ivi).
Eufotide col diallaggio d’un bel verde chiaro, e la giada bigia (ivi).
Cenni storici. L’antico nome latino di questo villaggio era Casellæ. La desinenza in et o ette’ di gallica origine, gli fu ne’ bassi tempi aggiunta per distinguerlo dal non lontano Caselle di Stura. Termina questo luogo la parte australe della Valle di Susa, e segnonne perciò da tempi rimotissimi il confine; ma, non è gran pezza, fu compreso nella provincia di Torino.
Da’ marchesi di Susa pervenne in retaggio ai conti di Savoja; ma, come dell’altro Caselle avvenne, l’imperatore Federico I il tolse ad Umberto III, e ne investì l’anno 1164 il marchese Guglielmo il Vecchio di Monferrato suo parente. Ritornato nel decimoquarto secolo a’ primi suoi principi, fu da Amedeo VI concesso in feudo a Goffredo Bovetti consigliere di s. Sebastiano, che da Chieri traslocato erasi in Torino.
Amedeo VI avendo poscia ricuperato questa terra, diedela nel 1347 ai Vagnoni signori di Troffarello per la somma di quattromila fiorini d’oro.
Non istette per altro lungo tempo sotto il dominio de’ Vagnoni; perocché nel 1352 lo acquistarono i Canali di Cumiana, e da essi per via di donne passò ai conti di Valperga. Lo cedettero questi ai Capponi di Torino, dai quali venne al presidente Fabrizio Avenati di Rivoli.
Ebbelo dappoi con titolo di contea Francesco Cauda, presidente della regia Camera de’ conti al tempo di Carlo Emanuele II, da cui era tenuto in molta stima.
Per un singolare suo vezzo il conte Cauda amava essere chiamato il presidente di Caselette.
Negli ultimi tempi questo villaggio fu dato ai Cays, conti di Giletta, Val della Torre e Brione. Dei Canali conti di Cumiana, di Marsaglia, di Givoletto, del Villare e di Bruino, si farà cenno all’articolo relativo a Cumiana, antico loro feudo principale. La vetusta pinerolese famiglia Capponi, che venne a stabilirsi in Torino sin dal 1300 era signora di Fiano.
Di essa un Martino nel 1370 acquistò nel territorio di Bricherasco il castello e il feudo del Mollare, conservato da’ suoi discendenti per più di un secolo. Un Battista pe’ suoi militari servigii presso la corona di Francia fu fatto cavaliere di s. Michele nel tempo, in cui Bartolommeo della stessa prosapia venne da Carlo Emanuele II nominato generale delle poste, cavaliere de’ ss. Maurizio e Lazzaro, e consignore della valle della Torre.
Moretto, esimio dottore di gius canonico nel 1310 fu dal comune di Pinerolo, per la conferma de’ suoi privilegii, inviato al principe di Acaja: Guglielmo nel 1384 reggeva l’abazia del Villare di s. Costanzo. Il conte Francesco Cauda di Torino, sotto il duca predetto, acquistò, oltre Caselette, i feudi di Brione, val della Torre, Gravere, Meana ed Altoetto: Antonio figliuolo di lui ebbe pure l’alta carica di primo presidente della regia Camera sotto M. R. Giovanna Battista.
In marzo del 1630, per un artifizio del duca di Savoja, il Richelieu col poderoso esercito da lui guidato al soccorso di Casale, dovette girare per la strada di Caselette sin d’allora molto aspra e malagevole, e vi patì grandissimi disagii di fame e di freddo. Potè poi soffermarsi nel castello di questo luogo, d’onde mandò fare al Duca certe proposte, le quali non vennero che in parte e con molto accorgimento accettate.
Villar Dora
Le origini di Villar Dora sono romane. Ritrovamenti di quest’epoca testimoniano con sicurezza come nella zona esistesse una villa, che probabilmente sta all’origine del nome del paese, situato in posizione strategica, sulle alture di Malano, punto di passaggio nella valle.
La storia di Villar Dora è legata alle vicende dei Savoia, che vantano diritti sul paese. Degno di nota è il castello, costruito sul luogo di insediamenti romani e preromani, ma eretto, nella sua parte più antica, nel XIII secolo: esistono documenti di quel periodo che certificano la presenza di tre torrioni abitati dai Montvernier, dai de Thouvet-De Sala e dagli Aiguebelle. Tra il XIV ed il XV secolo il castello viene acquistato dai Provana che vi costruiscono la torre cilindrica e i sovralzi gotici.
Il castello viene poi danneggiato dalle truppe del Catinat (1691) e tra il ‘700 e la prima metà dell’800 interventi di ristrutturazione mascherano le strutture medievali. Nella seconda metà dell’Ottocento si costruisce il giardino sostenuto da archi. L’aspetto quattrocentesco è poi stato ripristinato con la ristrutturazione precedente alla prima guerra mondiale, ad opera dell’architetto Bertea e del conte Carlo Antonielli d’Oulx, famiglia questa che aveva ricevuto in dote il castello dai Provana a fine Ottocento. Tra il Quattrocento ed il Seicento nell’area di Villardora transitano le truppe coinvolte nella guerra tra Francia e Spagna, fino alla seconda metà del Seicento, quando il paese viene occupato dai francesi e il castello viene in parte distrutto. Un paese di nome Villar viene citato per la prima volta nell’anno 1000, quando un diploma dell’imperatore Ottone III attribuisce il titolo di marchese a Olderico Manfredi concedendogli alcuni beni, tra i quali appunto Villar. Che si tratti proprio di Villardora non è certo. È invece certa la citazione del 1176, quando l’editto di Pietro de Thouvet, nobile di provenienza savoiarda, concede franchigie comunali al paese, che a quell’epoca si chiamava Villar Almese. Il potere dei de Thouvet continua fino al 1400, quando a loro succedono i Provana, banchieri astigiani.
All’inizio del 1700 Villar Dora è composto da 15 borgate in zona precollinare, si estende poco in pianura ed è limitato a sud dalla Dora, come risulta da una descrizione del catasto dell’epoca. In quegli anni le riforme di Vittorio Amedeo tendono a ridimensionare il potere delle signorie e ne fanno le spese anche i Provana.
Anche i contadini, molto poveri, non sono più disposti a sopportare lo strapotere dei nobili e i riflessi della rivoluzione francese si fanno sentire: organizzano sommosse popolari per ottenere il ribasso dei prezzi dei generi alimentari e perchè vengano abolite le concessioni. A scontrarsi apertamente con la politica monarchica e con i Savoia sono i ricchi possidenti terrieri, impiegati comunali.
Nel periodo napoleonico Villar Dora prevale su Almese e diventa capoluogo dell’area che comprende Caprie e Novaretto.
A fine Ottocento viene fondata a Villar Dora una società di mutuo soccorso, avviata da Fortunato Perino, proprietario della Fornace. Ha l’obiettivo di assistere reciprocamente gli iscritti e istituire uno spaccio alimentare a prezzi bassi: l’idea è vincente, tanto che, sotto forma di supermercato a gestione cooperativa, esiste tuttora.
Della fornace di via Sant’Ambrgio, l’altro edificio simbolo di Villar Dora, che dal ‘700 è stato alla base dell’economia del paese, restano oggi soltanto ruderi sormontati dalla ciminiera. Nel 1928 il regime fascista impone l’accorpamento di Villar Dora con Almese; il municipio viene trasformato in scuola e solo nel secondo dopoguerra tornerà Comune autonomo. Nel settembre 1955 venne, infatti, ricostituito il comune di Villar Dora.
Un apposito comitato costituito nel 1947 e formato da: Martino Franchino, Giuseppe Coletto, Don Oreste Caramello, Felice Richetto, Gaspare Coletto, Edoardo Ferrero, Mario Richetto, Giuseppe Ferrero, Crescentino Grande, Ladino Adorno, raccolse le firme e seguì tutto l’iter burocratico che riportò la municipalità a Villar Dora con il Decreto del Presidente della Repubblica dell’11 aprile 1955 pubblicato sul numero 145 della Gazzetta Ufficiale.
Lo stemma villardorese è costituito da uno scudo sannitico sormontato dalla corona dei comuni e contornato da due tralci di foglie: come nell’emblema della Repubblica Italiana sono disegnati un ramo d’ulivo e uno di quercia, qui legati insieme da un nastro tricolore. Lo scudo è decorato con il Castello e la Torre, due simboli che contraddistinguono il Comune di Villar Dora; entrambi di color rosso e merlati alla guelfa, sorgono in primo piano su un prato verde e si stagliano su uno sfondo che sfuma dal bianco all’azzurro.
«D’argento al castello di rosso, finestrato, merlato alla guelfa; al fianco sinistro una torre di rosso; il tutto movente da una rocca di verde.»
Un altro simbolo del Paese, sebbene non rappresentato in alcuna forma ufficiale, è costituito dalle ciliegie: un tempo la coltivazione di questo frutto costituiva una delle più importanti attività agricole del territorio. Oggi, in una realtà profondamente cambiata, le ciliegie hanno perso la loro importanza economica, ma rimangono tuttavia un simbolo importante di Villar Dora.
GOJA DEL PIS I 2024